Il marketing è: (a) il controcanto alla linea musicale del prodotto, (b) un traduttore simultaneo di intenzioni o (c) un'occasione straordinaria per investigare se stessi? Tutti e tre, se uno è fortunato.

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Juanita De Paola non sa come rispondere alla domanda “che lavoro fai’, perchè ‘entro in un’azienda e cerco di capire come funziona, o non funziona, partendo dalle persone che ci lavorano dentro e la loro ➜

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capacità di togliersi emotivamente dal tavolo della discussione strategica, misurata spesso sull’esperienza dei loro traumi personali. Quando il senso strategico dell’azienda è entrato sotto pelle a tutti, il marketing è solo un flusso e la comunicazione solo la verità” non ha un nome.

PERCHE’ NON FUNZIONA LA MIA AZIENDA?

Questa è la madre di tutte le domande. Ecco una possibile risposta dedicata da chi ha fallito molto a chi sta soffrendo all’interno della propria azienda e crede di meritarsi risultati migliori. La frustrazione di una persona, magari competente, che lavora con grande sforzo e non vede riconosciuto il suo lavoro sia da un punto…

Questa è la madre di tutte le domande. Ecco una possibile risposta dedicata da chi ha fallito molto a chi sta soffrendo all’interno della propria azienda e crede di meritarsi risultati migliori.

La frustrazione di una persona, magari competente, che lavora con grande sforzo e non vede riconosciuto il suo lavoro sia da un punto di vista di avanzamento di carriera o risultato economico è una sensazione costante di dolore che non abbandona nemmeno nel tempo libero, quando questo sia possibile e godibile, e che caratterizza la vita della stragrande maggioranza dei micro-imprenditori e possessori di partita iva. La statistica precisa varia a seconda delle fonti e del periodo preso in considerazione, tuttavia, esistono diverse ricerche a riguardo: uno studio condotto da Unioncamere e InfoCamere nel 2020, ha mostrato che molte piccole imprese e micro-imprenditori erano insoddisfatti a causa delle difficoltà economiche (e delle sfide legate alla digitalizzazione e all’adattamento ai nuovi modelli di business).

La sensazione è quella di lavorare contro un mondo ingiusto e, a volte, persino contro la propria clientela. Questa nasce spesso dalla scarsa qualità della comunicazione aziendale moderna, fatta di email aggressive, risposte imprecise a domande (più o meno) chiare, e di un crescente analfabetismo culturale che rende sempre meno interessante lo scambio dialogico. A ciò si aggiunge la visione contemporanea, alimentata dalle recensioni online e da ricatti connessi, secondo cui il fornitore deve sempre assecondare ogni capriccio del cliente, quasi come se offrire un prodotto o un servizio fosse un privilegio concesso da chi lo eroga – ti pago, fai quello che dico io come dico io.

Personalmente, credo che l’unica responsabilità gestibile sia quella che possiamo amministrare nel nostro campo. Questo significa partire dalle domande che non ci siamo posti e migliorare un insieme di procedure troppo frettolose, che ci fanno dire “ho finito il lavoro” anziché “ho creato una procedura esecutiva e comunicativa efficace”.

La buona notizia è che modificando noi stessi ed i comportamenti aziendali derivati dalle nostre ferite emotive, possiamo creare una “leva che può sollevare il nostro mondo” lavorativo.

Non esiste una ricetta universale per fare questo salto di qualità, ma ci sono alcune domande che possono aiutarci a trasformare il lavoro in un’esperienza soddisfacente: condivido qui le mie.

1. Cosa sto facendo?

Naturalmente tendiamo a occuparci di un compito, a volerlo portare al termine, a ‘liberarcene’ nel minore tempo possibile.

Il nostro compito non è tanto costruire edifici, metaforicamente parlando, quanto mantenere attivo un cantiere in cui questi vengono realizzati da persone ispirate e tutelate. Proprio come i grandi chef si distinguono per la scelta degli ingredienti e la pulizia della cucina, il nostro lavoro consiste nell’analizzare a fondo ogni risposta, problema o input che ci si presenta, per delinearne la tipologia, la finalità e la strategia a lungo termine. L’obiettivo non è semplicemente completare un compito, ma fare dell’esecuzione il naturale risultato di un processo ben calibrato. L’esecuzione perfetta, di per sé, rappresenta solo il 50% del lavoro. Sei sicuro che il tuo ‘cantiere’ sia mantenuto al meglio? Ecco alcune domande per fare un auto-valutazione:

  • Ho ben presente a cosa serve quello che sto facendo, fosse anche solo una mail, e quali sono le sue conseguenze future?
  • Ho preparato il gruppo di lavoro spiegando la filosofia e la ragione dei loro compiti, di modo che ognuno di loro possa superarsi nella sua esecuzione e, addirittura, divertirsi nella gara contro se stesso?
  • Ho creato un manuale condiviso in cui problemi e soluzioni sono consultabili dal reparto di interesse, da aggiornare assieme ad ogni problema e risoluzione?
  • Ho creato un file di risposte template, per non dover mai rispondere di nuovo alla stessa domanda?

E ora la domanda cruciale:

  • Ho capito che il lavoro di CEO, COO o amministratore è quello di ascoltare, di servire la cultura, la creatività, la forza ma anche la debolezza e le caratteristiche intrinseche di ogni persona del proprio gruppo di lavoro? Conduco invece una struttura verticale, in cui esigo rispetto incondizionato e faccio il tiranno dell’umore? In questo caso, è possibile che io sia il peggiore nemico della mia azienda, e probabilmente devo andare a trovare il bambino arrabbiato che mi vive dentro, guarire le sue ferite e nel frattempo delegare qualcuno che possa sostituirmi.

2. Questo problema si è già presentato?

Se la risposta è sì, prendi a raccolta tutte le persone in azienda che sono coinvolte o impattate da questo problema, mettetevi al tavolo, e fate un disegno del suo percorso, dal primo input alla reazione negativa, scoprendo quindi se la problematica nasce da uno di questi elementi:

(a) hai saltato la prima fase di analisi da condividere con il cliente, quella in cui gli spieghi quello che farai, come lo farai ed i risultati che si possono ottenere. Questa è anche la fase in cui devi dichiarare quello che non farai ed i risultati che non sono ottenibili.

Oppure (b): la tua esecuzione non è stata così come il cliente se la aspettava: torna al punto precedente, evita mail difensive e discuti in pieno ascolto con il tuo cliente l’analisi del vostro progetto. Se hai sbagliato l’esecuzione, semplicemente offri una seconda prova gratuita, scusandoti; la maggior parte delle persone saranno felici di darti una seconda possibilità – se conveniente.

Oppure (c): hai saltato la terza fase, quella in cui, dopo avere consegnato il prodotto o il servizio (di ogni tipo), hai contattato il tuo cliente per capire se ha suggerimenti ulteriori, se vuole rivederne una parte o se è pienamente soddisfatto.

Attenzione: Per potere effettuare un lavoro completo, soddisfacente, devi avere tempo per i suoi feedback e le eventuali revisioni: se il tuo tempo di completamento non ne tiene conto, se le tue deadline sono sempre strette o addirittura sorpassano la data di consegna, il problema non è nel lavoro: potresti soffrire di ADHD, ad esempio, o avere un problema congenito per cui il tuo cervello ti fa degli sgambetti – che sono vitali, perchè sono degli allarmi che ti richiamano a curarti e a stare meglio (anche fuori dall’azienda).

3. Questo o lo risolvo io o non lo risolve nessuno.

Se ti senti dire questa frase più di una volta all’anno, l’azienda è nei guai.

L’unione fa la forza, o la debolezza: sei sicuro di avere scelto persone adatte al tuo modus operandi? Hai speso la maggiore parte del tuo tempo di amministratore a formare il tuo gruppo, spronarlo, concedere ai tuoi collaboratori spazi di sperimentazione, o hai solo collezionato lavori la cui finalità era chiara solo a te? Di nuovo, questo problema non è aziendale, e dovresti prenderti cura di te, prima di buttare la tua spazzatura emotiva nel giardino di chi ti vive accanto.

Conclusioni

Un’azienda che funziona è fatta di persone che sanno cosa devono fare, come lo devono fare e, soprattutto, perchè. Questa conditio-sine-qua-non determina il successo ed il comfort con cui vi si opera dentro. Poco si può fare per le condizioni esterne, ma possiamo ottenere moltissimo mettendo le persone e la loro formazione al centro del lavoro. Insomma, in un lavoro di gruppo, il ritmo deve essere quello del più lento e tanto più si sta in alto, tanto più il nostro lavoro è ascoltare, proteggere e spronare gli altri. Analizzando i problemi più frequenti, è possibile risalire alle problematiche di tipo emotivo-gestionali che li procurano, ed intervenire in supporto – persino di noi stessi.

Fonti e articoli utili